Siamo abituati a pensare al genere come ad un binario: i concetti di maschio e femmina sono distinti, paralleli, e legati al sesso biologico.
L’idea che sesso biologico e genere non siano per forza dipendenti tra loro sembra molto moderna, ed in effetti il concetto di identità di genere, gender in inglese, nasce negli anni Settanta quando gli studiosi di tutte le discipline legate alla sessualità si resero conto che il solo concetto di sesso biologico non riusciva a spiegare la varietà dei comportamenti umani legati a questa sfera. Nonostante sia diventato un termine di uso comune, non tutti conoscono la differenza tra sesso e genere; quest’ultimo termine indica come le società elaborano le differenze biologiche proponendo modelli di comportamento di mascolinità e femminilità.
Con la nascita del concetto di genere è nata anche la consapevolezza che esso non debba necessariamente corrispondere con il sesso biologico. Quest’idea, che alla nostra società sembrava nuova, è intrinseca a molte culture. Prendiamo come esempio il popolo degli Inuit in cui il genere dei bambini viene stabilito dallo sciamano e non dalla biologia. Questo è dovuto al fatto che credendo nella reincarnazione lo sciamano ha il compito di scoprire chi si sta reincarnando, così che il bambino possa crescere per ricoprirne lo status nella società. Dopo la pubertà agli adulti sarà richiesto di assolvere ai loro ruoli biologici, ma mantenendo l’identità di genere assegnatagli dallo sciamano alla nascita.
Ad oggi per descrivere le persone il cui genere non corrisponde al sesso biologico si utilizza il termine ombrello “transessuale”. Questo termine include sia le persone che si riconoscono nel genere opposto a quello assegnato alla nascita sia tutte quelle persone la cui identità non è rappresentata dal binario di cui si è parlato all’inizio (vengono chiamate persone non-binarie). Comincia infatti ad essere sempre più diffusa l’idea del genere non come un binario ma come uno spettro in cui maschio e femmina sono le estremità, ma tra di loro si trovano numerose sfumature che servono a descrivere al meglio l’esperienza personale di ognuno.
Nonostante sia la scienza che l’antropologia dimostrino che l’essere transessuali non sia una malattia, purtroppo ancora oggi queste persone vengono pesantemente discriminate. Uno studio condotto ad Amsterdam tra il 1972 e il 2018 e pubblicato sulla rivista “Lancet Diabetes & Endocrinology”, che ha coinvolto 4.568 adulti transgender, ha dimostrato come a causa della discriminazione il tasso di mortalità di queste persone sia doppio rispetto a quello della popolazione generale. Questo divario è dovuto alla mancata accettazione sociale che impedisce un accesso sicuro ai servizi sanitari e che porta ad enormi danni psichici, che in alcuni casi possono addirittura portare al suicidio. La probabilità di suicidio per le donne transgender è infatti 7 volte più alta rispetto a quella delle donne cisgender (ossia il cui genere e sesso biologico coincidono).
Questi dati sono l’ennesima prova di quanto sia dannosa ogni tipo di discriminazione e di quanto gesti considerati insignificanti, come rispettare il nome e i pronomi di qualcuno, possano invece essere dei gesti fondamentali per qualcun altro.
Elena Piangatelli 5B
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