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Le fragili fondamenta della Matematica

Aggiornamento: 4 giu

«Dio esiste perché la matematica è coerente,

il diavolo perché non possiamo dimostrare che lo sia»

- André Weil



La matematica gode da sempre di un prestigio particolare: essere considerata la forma più pura del pensiero umano (se non della mente stessa, come proponeva Kant nella sua prima Critica), un linguaggio universale capace di descrivere il mondo che percepiamo con precisione assoluta. La sua bellezza logica, la coerenza delle sue dimostrazioni e la sua capacità di produrre risultati certi e verificabili la facevano apparire come l’unica fonte di conoscenza veramente infallibile.


Basta aprire il trattato che ha dato inizio alla ricerca della verità per inferenza, Elementi di Euclide, per distruggere questo immaginario. Elementi contiene le fondamenta della geometria: i suoi assiomi e le sue definizioni. Leggendo le seconde, in particolare, ci si accorgerà di come per secoli si sia accettato di costruire questo stupendo castello su fragilissime fondamenta: una linea, ad esempio, è “rigorosamente” definita come “lunghezza senza larghezza”. Ovviamente, seppur sia necessaria un po’ di incoerenza, difficilmente si potrebbe rinunciare alla moltitudine di verità alle quali Euclide ci ha iniziato solo per sprezzo dell’imprecisione o dell’“intuitività”, sostituita al rigore solo per enunciare assiomi e definizioni. Ebbene, nonostante per i greci aritmetica e geometria fossero sostanzialmente scisse sotto molti aspetti, si scoprirà con stupore, in tempi assai più recenti, che la prima (come anche l’analisi e l’algebra) soffriva della medesima malattia.

Elemeneti di Euclide
Elemeneti di Euclide

Nel XIX secolo, la crisi del quinto postulato di Euclide aprì la strada a nuove geometrie e mise in discussione anche le fondamenta dell’aritmetica e dell’analisi. Il concetto di limite, ad esempio, cuore dell’analisi matematica, si scoprì solo vagamente definito e gli studi di Cantor misero in dubbio la “semplicità” del concetto stesso di infinito, mostrando sostanzialmente come questo potesse declinarsi in più di una maniera. 

Furono soprattutto i lavori di Cantor a dividere i matematici: da una parte vi erano gli intuizionisti, convinti che la matematica fosse una pura creazione dell’umano ingegno, fatta di intuizioni e processi finiti («Le generazioni future rimembreranno la teoria degli insiemi [di Cantor] come una malattia dalla quale si è guariti», Henri Pointcaré), dall’altra i formalisti, informalmente capitanati da David Hilbert, che vedevano la matematica come un sistema di simboli e regole formali, la cui coerenza interna ha senso ed importanza indipendentemente dal significato “intuitivo” delle sue entità («Nessuno dovrà espellerci dal paradiso che Cantor ha creato», disse David Hilbert in una lezione tenuta a Münster nel 1925). 

Un pericolo non indifferente per le teorie formaliste si presentò nel 1901, quando Bertrand Russell scoprì un paradosso nella teoria degli insiemi, il cosiddetto “paradosso dell’autoreferenzialità”, che consiste nel costruire un insieme definendolo come “insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi”, il che porta alla conclusione che tale insieme deve contenere se stesso se, e solo se, non contiene se stesso, una evidente contraddittorietà. Il problema venne risolto apportando restrizioni al concetto di insieme in modo tale da non permettere il verificarsi del paradosso, che, seppur sembrasse debellato all’apparenza, visse per combattere un altro giorno. Cominciò allora, per i formalisti, la ricerca di un linguaggio formale coerente e non ambiguo, nel quale scrivere degli assiomi per la matematica da cui derivare, mediante delle regole di inferenza, tutti i teoremi della matematica. Questa ricerca culminò con i tre densi volumi dei Principia Mathematica (1910) di Whitehead e Russel, nei quali è contenuta anche la nota dimostrazione formale dell’identità “1+1=2”.


A questo punto non restava che verificare se la notazione di Whitehead e Russel sarebbe stata in grado di rispondere alle tre grandi domande del programma di Hilbert (e dei formalisti):


  1. La matematica è completa (è possibile dimostrare la verità/falsità di ogni proposizione matematica)?

  2. La matematica è coerente (è impossibile dimostrare contemporaneamente che una proposizione matematica sia vera e falsa)?

  3. La matematica è decidibile (data una proposizione matematica, è sempre possibile stabilire se derivi o meno dagli assiomi)?


La risposta alle prime due domande arrivò nel 1931, per opera dell’ingegno di Kurt Gödel, che si scagliò contro i formalisti con un articolo (Sui teoremi formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e dei sistemi affini I) che dimostrava dei limiti fondamentali dei Principia Mathematica e di tutti i sistemi affini che rispettassero certi requisiti, come poter definire i numeri naturali e le operazioni aritmetiche di base. Egli associò ad ogni simbolo del linguaggio formale un numero naturale, e associò poi ad ogni proposizione matematica un numero naturale, costruito con un procedimento basato sui numeri primi e sui numeri dei simboli che la costituiscono. Questo travagliato processo permette di trasformare ogni proposizione simbolica in un numero univoco (numero di Gödel), con i quali sono trattabili le proposizioni e dunque, in maniera tutta kantiana, permette di far parlare alla matematica della matematica. Ad ogni modo, Gödel attraversa questo intricato procedimento al fine di costruire artificialmente il numero di Gödel di una proposizione che faccia cadere il sistema formale nel paradosso di autoreferenzialità, come: “La proposizione di numero g non ha dimostrazione all’interno del sistema” (ed il numero di questa proposizione è proprio g). Se g è vera, il sistema è incompleto, se è falsa, il sistema è incoerente. Un dato sistema non può dunque essere contemporaneamente completo e coerente. Inoltre, con il suo secondo teorema di incompletezza, Gödel dimostrò che se un sistema è coerente, comunque non può dimostrare dall’interno la propria coerenza, pertanto:


  1. La matematica è completa? No, se è coerente.

  2. La matematica è coerente? Potrebbe, se non è completa.


Il colpo di grazia ai formalisti, infine, fu sorprendentemente vibrato da Alan Turing, il quale risolse il problema dell’indecidibilità. Se un teorema fosse derivabile inferenzialmente, basterebbe applicare ciclicamente le regole di inferenza a partire dagli assiomi fino a verificarlo per dire che è decidibile, mentre se lo stesso teorema fosse inderivabile, basterebbe dire che l’applicazione ciclica delle inferenze non avrebbe mai termine per dire che è decidibile. Dunque, la vera domanda diventa: “Esiste un algoritmo per stabilire a priori se un algoritmo, dato un input, continuerà a girare all’infinito, o produrrà un output in tempo finito?” (tale domanda costituisce il famoso “Halting Problem”); in caso affermativo, questo implicherebbe la decidibilità della matematica, in caso contrario, avremmo perso anche l’ultimo baluardo contro il temibile ignoto.

Purtroppo per Hilbert ed i formalisti, pare che le risposta sia no: ipotizziamo che sia possibile risolvere l’Halting Problem; se si potesse risolvere mediante algoritmo, esisterebbe una macchina di Turing “H” in grado di eseguirlo. Costruiamo allora una seconda macchina di Turing “H+” aggiungendo ad H un’ultima istruzione: se H restituisce falso (l’algoritmo girerà all’infinito), restituisci vero, mentre se H restituisce vero (pensa che l’algoritmo si arresterà trovando il teorema), restituisci falso. Se adesso fornissimo ad H+ il suo stesso codice in input, qualunque cosa H pensa che H+ farà, H+ restituirà il risultato opposto, sancendo il fallimento di H, che dunque non può esistere.

Cade così anche l'ultima speranza di realizzare un sistema completamente fondato su regole formali decidibili e l’ambizioso programma del povero Hilbert diventa, sostanzialmente, riassumibile in: 


  1. La matematica è completa? No, se è coerente.

  2. La matematica è coerente? Potrebbe, se non è completa.

  3. La matematica è decidibile? No.


“We must know – we will know”

– David Hilbert


di Daniele D’Ambrosio 5I



FONTI

Euclide, Euclid’s Elements, traduzione di Issac Todhunter

Alan Turing, "On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem" (1936) 



Per i più interessati, la redazione scientifica consiglia un due video in merito il teorema di incompletezza di Gödel e i suoi risvolti storici:

  1. Video di TEDEd: corto e semplice, privo di grandi formalismi

  2. Video di Veritasium: lineare e organico, con accenni di matematica molto interessanti

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